Elika
(0)
articoli in carrello: (00)
Il tuo carrello è vuoto
Totale: 0 € 0 € 00 articoli nel tuo carrello

IL LINGUAGGIO E LE STRATEGIE

IL LINGUAGGIO E LE STRATEGIE

Nel manuale Vincere con la mente vengono anche analizzati i processi mentali, tra cui il linguaggio. Andiamo nel dettaglio.

 

Diversi aspetti dei processi mentali analizzati finora, come il feedback, il self-talk e il coping, richiamano un altro processo mentale peculiare dell’uomo: il linguaggio. La conquista del linguaggio nelle tappe di evoluzione del bambino rappresenta una pietra miliare per uscire dal suo isolamento e per affermarsi come individuo. Appena ne è capace, il bambino diventa un “chiacchierino” instancabile, con l’esigenza di conoscere, sapere, fare domande, comunicare le proprie esperienze.

Anche durante l’attività sportiva parliamo con noi stessi, comunichiamo con altri per confrontarci, apprendiamo attraverso parole, frasi, ordini, incitamenti.

 

Distinguiamo il linguaggio verbale (orale e scritto) e il linguaggio non verbale.

Il linguaggio verbale è certamente il mezzo comunicativo più efficace che usiamo per esprimerci. Si esplica attraverso un codice, il codice linguistico, che non può essere considerato a se stante ma solo in collegamento con altri codici, ai quali offre vantaggi e completezza e dai quali riceve contributi in un’ottica di integrazione. Il linguaggio verbale presenta due proprietà costitutive, in apparente antitesi fra loro: la creatività e le regole. Secondo Chomsky, una lingua ha potenzialità di sviluppo infinite; possiamo combinare fra loro una quantità enorme di suoni e lettere, creare nuove frasi, trovare nuovi vocaboli. Se in una conversazione usiamo in media 180 parole, la nostra mente ne può contenere fino a centomila. È tuttavia necessario governare la libera creatività con alcune regole per consentire una condivisione di significati. Ogni lingua, dalla più evoluta alla più semplice, possiede un insieme di regole rigorose e nello stesso tempo flessibili; infatti, come potete vedere dalle frasi riportate qui sotto, anche solo disponendo le parole in un ordine diverso o usando un’altra punteggiatura, il significato cambia:

 

“Andiamo a fare una partita di tennis domani, se non piove ci divertiamo”.

“Andiamo a fare una partita di tennis, domani se non piove ci divertiamo”.

 

Altrettanto importante è il linguaggio non verbale, formato da tutto quanto esprimiamo senza parlare o scrivere, da tutti i segnali che riceviamo ed emettiamo come i gesti, le espressioni e la postura del corpo. Dobbiamo riservare molta attenzione ai processi comunicativi per entrare in empatia con gli altri ed esprimere le nostre più profonde emozioni.

    

  

LE CARATTERISTICHE DEL LINGUAGGIO

 

 

Abbiamo già accennato a due caratteristiche fondamentali: la creatività e le regole, ossia la forma. A esse dobbiamo aggiungere la facoltà di comprensione del contenuto e le modalità di uso del linguaggio. I suoni che ci permettono di parlare sono piccole unità che si chiamano fonemi, costituiti dalle lettere singole, ma anche dalla combinazione di due lettere: è un fonema il gruppo “gn”, ad esempio. I fonemi compongono il morfema, cioè la minima unità grammaticale con significato proprio. Ricordiamo dagli studi scolastici che la loro combinazione attiene alla morfologia, mentre la combinazione per formare frasi e discorsi fa parte della sintassi.

 

L’apprendimento del linguaggio nell’infanzia può essere rappresentato

con questo schema (De Giorgio):

  • 0-3 mesi: prima emissione di suoni vocali.
  • 4-6 mesi: uso di espressioni facciali negative e positive con inizio della lallazione.
  • 6-9 mesi: ricerca della sorgente del dialogo, pronunciazione di gorgheggi, lallazione abbondante, uso dell’indice per indicare un oggetto (pointing).
  • 9-12 mesi: risposta al richiamo del proprio nome, emissione dei bisillabi, messaggi di sguardo e ripetizione dei messaggi falliti per renderli più efficaci.
  • 12-13 mesi: prime parole di suono comune come “mamma” e “papà”.
  • 14-18 mesi: vengono composte le prime frasi semplici.
  • 18-24 mesi: si arricchisce il vocabolario, la metà delle consonanti pronunciate è corretta e il linguaggio diviene predominante rispetto ai gesti.
  • 24-36 mesi: il 70% delle consonanti è prodotto correttamente e sorge l’uso dei pronomi (“io”/”tu”, “me”/“te”).
  • 3-5 anni: il discorso è comprensibile nella sua interezza, anche se possono essere presenti difficoltà nei fonemi “r”, “v” e nei gruppi consonantici.
  • 6-11 anni: sviluppo grammaticale completo e arricchimento del linguaggio

con la scolarizzazione.

L’ARTE DI COMUNICARE

 

L’attuale società è caratterizzata da una globalizzazione dei rapporti interpersonali; nel lavoro, a scuola, nello sport, in famiglia, nella coppia, fra amici, nella vita quotidiana sono svariate le occasioni che ci vedono impegnati in atti comunicativi tesi a stabilire un contatto con gli altri. Essere padroni delle strategie di comunicazione è determinante per

creare il clima di fiducia e collaborazione all’interno di una comunità. Accade a volte che le migliori intenzioni vengano fraintese, ci sentiamo insoddisfatti del modo con cui ci esprimiamo, l’imbarazzo e la timidezza ci bloccano: la nostra comunicazione non è efficace, non è essenziale, non è felice. Le emozioni, i disagi affettivi, i disturbi psicosomatici incidono in maniera decisiva sul comportamento comunicativo. Al fine di rendere la comunicazione efficace e adeguata allo scopo, è importante che tutti gli

elementi siano esenti da imperfezioni e ambiguità.

Come già detto, noi comunichiamo verbalmente con parole o messaggi scritti, ma anche attraverso il tono della voce, la gestualità, il linguaggio del corpo. Nell’atto comunicativo possiamo inferire e capire più di quanto ci venga detto. Ci sono conoscenze condivise fra parlante e ascoltatore: sono le presupposizioni. Ci sono informazioni non dette, ma che servono per comprendere il significato nascosto: sono le implicature. Per coglierle dobbiamo assumere un atteggiamento cooperativo e ricostruire i passaggi mancanti usando le inferenze. Secondo Roman Jakobson occorre, quindi, trovare uno stile comunicativo personale, aperto alle varie funzioni linguistiche, verbali e non verbali.

 

Vediamo le caratteristiche delle funzioni linguistiche:

  • Funzione espressiva: centrata sull’emittente, sui sentimenti, gli stati

d’animo, gli atteggiamenti di chi parla.

  • Funzione conativa: centrata sul destinatario, per influire su di lui, per

convincerlo, come avviene nella pubblicità.

  • Funzione informativa o referenziale: centrata sulla realtà esterna, sul contesto, per dare informazioni obiettive, come nelle scienze.
  • Funzione fàtica, o di contatto: centrata sul canale comunicativo, per instaurare un contatto superficiale o per verificare che non ci siano ostacoli nella comunicazione (“Pronto, mi ascolti?... Bella giornata! ...)
  • Funzione poetica: centrata sul messaggio in quanto tale, per attirare l’attenzione verso di sé, con l’uso di figure retoriche per trasmettere significati simbolici.
  • Funzione metalinguistica: centrata sul codice, per parlare della lingua stessa, come nella grammatica. Lo studio completo della comunicazione verbale comprende:
  • Il lessico, con approccio di tipo storico-culturale, come il dialetto con le sue varie inflessioni, la polisemia, l’uso di sinonimi ecc.
  • La grammatica (morfologia e sintassi), con le conoscenze e le regole linguistiche comuni al gruppo di appartenenza.
  • L’ortografia e la correttezza formale delle parole. Le funzioni linguistiche assumono molta importanza per un buon inserimento nel team. Spesso in una squadra di ciclismo o di calcio sono presenti atleti di varie provenienze e vari idiomi, collegati a usi e costumi particolari. La reciproca conoscenza, anche a livello linguistico, aiuta a evitare conflitti,

malumori e rotture che si riflettono sul rendimento individuale e generale.

LA COMUNICAZIONE DEL CORPO

 

Condividiamo i concetti espressi dalla psicologa Gianna Schelotto. La comunicazione verbale è dunque integrata dalla comunicazione non verbale, fatta di espressioni del volto, atteggiamenti e posture: un tipico esempio di comunicazione esclusivamente non verbale è rappresentata dal mimo, per il quale è determinante il codice gestuale. Molto spesso, quando la comunicazione vuole esprimere la funzione emotiva, è proprio il codice non verbale a essere privilegiato: il rossore, le lacrime, il sorriso, le smorfie, il corrugare la fronte, il toccarsi il naso dicono molto di più di frasi studiate e contorte.

 

Ebbene, è proprio il linguaggio non verbale la modalità comunicativa per eccellenza usata dal corpo, sia nei confronti degli altri, sia per dialogare con se stessi: corpo biologico e corpo psicologico si parlano, si ascoltano, sostituendo alle parole altri simboli.

 

Il corpo manda dei segnali per manifestare un disagio non solo fisico, ma anche psicologico; prurito, nausea, cefalea, colite possono nascondere somatizzazioni di un disturbo nella sfera affettiva o relazionale. Si comprende quindi quanto importante sia possedere gli strumenti per avvertire i segnali che mente e corpo si inviano e quanto questi incidano sulla vita quotidiana, nei vari settori del lavoro, nelle relazioni personali, nel tempo libero, nell’attività motoria e nello sport.

 

OBIETTIVO COMUNICAZIONE

 

La comunicazione è un argomento immenso che coinvolge ogni settore della vita e ogni età, dalle prime forme non verbali dell’infanzia alle varie funzioni della comunicazione: l’arte di comunicare diventa l’arte di comprendersi, soprattutto a livello generazionale. Indagini sulle modalità comunicative ci informano che per il 51% dei genitori italiani di età compresa tra i 30 e i 55 anni, con figli tra gli 0 e i 14 anni, uno dei problemi principali nel rapporto con i figli e nella loro educazione è rappresentato dalla difficoltà di farsi ascoltare, cui segue la mancanza di rispetto del proprio ruolo (il 41%), quasi come se la figura del genitore stesse perdendo autorità. È, in primo luogo, una questione di come si comunica.

 

Ci possiamo rifare brevemente alla classica teoria della comunicazione, costituita da alcuni punti fermi. La comunicazione può essere vista come l’atto di passare il testimone nella staffetta. Quando stabiliamo un contatto con gli altri mandiamo un messaggio,

sia esso esplicito o implicito, tramite delle frasi, ma anche attraverso dei gesti e delle espressioni. Più il messaggio è inviato in modo chiaro, più avrà possibilità di essere ricevuto nel suo vero significato. Ci sono dunque un emittente, o trasmittente e, dall’altra parte, un ricevente. Affinché il tutto possa andare a buon fine, occorre parlare la stessa lingua, avere cioè un codice comune per dare alle parole lo stesso significato.

Il canale può essere scelto fra i tanti mezzi di comunicazione esistenti: tutti i sensi rappresentano un canale comunicativo. Non sempre, tuttavia, la comunicazione va a buon fine. Capita a volte che qualcosa non funzioni: diciamo una parola e questa viene male interpretata, non ci capiamo, non riusciamo a esprimerci come vorremmo… In questi casi si parla di “disturbo” nella comunicazione. Che cosa può essere successo? Ridondanza. Distorsione. Perdite. Interferenze.

 

SAPERE DIALOGARE

 

Abbiamo visto che ci sono molte difficoltà di rapporto fra genitori e figlio, che possiamo estendere anche ai rapporti adulto-giovane e allenatore-atleta, soprattutto in alcuni passaggi del percorso, come nell’adolescenza, quando si vive il conflitto fra obbedienza al genitore/adulto e c’è bisogno di autonomia.

 

Le qualità di una buona comunicazione sono tante, ma soprattutto essa deve avere questi requisiti:

  • Deve essere efficace, cioè deve fare effetto, andare a buon fine (da “effetto”).
  • Deve essere diretta verso un obiettivo, cioè volta a un determinato esito (da “dirigere”).
  • Deve essere essenziale, cioè usare un linguaggio semplice, conciso, che costituisce l’essenza di una cosa (da “essere”).

 

Se manteniamo queste caratteristiche, possiamo assegnare alle modalità comunicative finalità altamente formative. Per prima cosa, una buona comunicazione veicola la conoscenza e aiuta quindi lo sviluppo cognitivo; da questo deriva l’autostima, che rafforza e quindi favorisce anche il fine primario, che è quello di spingere verso l’autorealizzazione. Quando succede che il modo di parlarsi fra adulti e giovani non è produttivo? Quando il ragazzo percepisce che non c’è coerenza, che ci sono

atteggiamenti discordanti; allora si disorienta e non sviluppa autostima. Analizziamo alcuni stili educativi.

 

  • Stile autoritario: si distingue per la rigidità, l’essere inflessibile, il dare ordini. La percezione del ragazzo è quella di essere in presenza di carabinieri (intesi come legge ineluttabile). Se sottoposto fin da piccolo a un regime rigido, possono esserci come possibili conseguenze atteggiamenti di ribellione o, al contrario, di compiacenza, e comunque di diffidenza e asocialità.
  • Stile permissivo: è fatto di compiacenza e rispetto per ogni volere del ragazzo, ma anche di eccessiva protezione; può portare all’egocentrismo, al ritardo nella crescita relazionale e alla difficoltà di responsabilizzazione, dando al ragazzo l’illusione che tutto gli è dovuto.
  • Stile della problematizzazione: è adottato da chi sa essere per i figli una guida indiretta, senza rinunciare al proprio ruolo di genitore, un genitore che ha in sé apertura, curiosità, interessi e li sa infondere nel figlio; questo atteggiamento aiuta a sviluppare il senso critico, la creatività, l’intraprendenza e il pieno sviluppo delle proprie potenzialità. La componente affettiva riesce a orientare i genitori verso l’approccio più utile. Per questo si ricorre al concetto di empatia, che si articola in tre punti:

 

  • La capacità di identificarsi con l’altro e di capire le sue sensazioni.
  • La pazienza di considerare il punto di vista dell’altro.
  • La consapevolezza di entrambi i punti di vista.

 

GLI STILI COMUNICATIVI

 

Dopo avere visto i principali stili educativi, vediamo ora gli stili comunicativi. Ci sono modi di dire e atteggiamenti che rivelano i vari “registri” della comunicazione.

Due persone che non si conoscono, si incontrano e si parlano usano uno stile formale.

Se invece sono amiche, hanno una conversazione amichevole e utilizzano uno stile informale. Ci sono anche altre modalità che vengono usate saltuariamente ma che

in alcune persone possono essere consuete: aggressività, arroganza, atteggiamenti e parole che intimidiscono. Come abbiamo visto, la parola che ci contraddistingue come persone può avere molte funzioni a seconda dei casi: per dare informazioni, esprimere  sentimenti, o anche solo stabilire un primo contatto. Sono tutte altrettanto valide, quando usate nel giusto contesto. C’è invece un tipo di comunicazione dannosa, anche se usata inconsapevolmente, soprattutto se viene adottata verso i bambini e i ragazzi:

la comunicazione manipolatrice, quella che vuole prevaricare sul volere dell’altro in modo spesso sotterraneo. La riconosciamo da alcune frasi caratteristiche, che lasciano trasparire:

 

  • Ambiguità (“Se proprio vuoi andare… però…”).
  • Adulazione (“Tu che sei bravo…”).
  • Imposizione latente (“Vero che ti piace? Fallo per me…”)

Queste frasi sono solo alcuni esempi. Se usate regolarmente, inducono comportamenti simili e soprattutto generano un senso di impotenza.

 

SAPERE ASCOLTARE

 

Il linguaggio ha molte funzioni. Abbiamo visto finora che esistono varie modalità di comunicazione, ciascuna con caratteristiche proprie. Allo stesso modo ci sono diversi atteggiamenti anche nell’ascolto. Una prima suddivisione può essere operata fra ascolto attivo e passivo.

 

L’ascolto attivo ha come modalità quella di riassumere i concetti che ha esposto chi parla; li riformula con altre parole, può sottolineare i punti chiave, ripete per avere conferma di avere compreso bene. In questo modo si dà la sensazione di ascoltare, partecipare e offrire comprensione. Altrettanto valido è l’atteggiamento dell’ascolto passivo, sempre però che non scada nell’indifferenza. Siamo nel campo della comunicazione non strettamente verbale e quindi ci saranno gesti di contatto, sorrisi, sguardo vigile, apertura corporea, incoraggiamento a dire.

 

Per approfondimenti e addirittura test di autovalutazione, consultate Vincere con la mente.

 

Vincere con la mente