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L’IMPORTANZA DEI FITOESTRATTI OGGI

L’IMPORTANZA DEI FITOESTRATTI OGGI

Nel manuale pratico Integrazione naturale e fitoterapia di Alexander Bertuccioli e Marco Neri viene approfondita l’importanza dell’erboristeria e fitoterapia in relazione alla salute allo sport, vediamo nello specifico come e perché.

 

Prima di partire nella disamina del mondo dei fitoestratti, è importante capire qual è la reale importanza di questi prodotti, considerati i livelli rag­giunti dalla chimica farmaceutica. Qualcuno infatti potrebbe chiedersi che bisogno c’è oggi di rivolgersi alla natura per ottenere un prodotto salutistico o addirittura terapeutico, quali sono le motivazioni che dovrebbero spingere un individuo o un professionista a optare per un prodotto di origine naturale piuttosto che per la controparte di sintesi. Domande sicuramente legittime che necessitano, per non fornire risposte semplicistiche, di un’analisi appro­fondita.

Le principali obiezioni che vengono rivolte ai fitoestratti generalmente riguardano:

  • Dubbia efficacia.
  • Assenza di titolazione e standardizzazione.
  • Assenza di studi clinici che dimostrino la reale efficacia.
  • Assenza di studi di tossicità.
  • Contaminazioni della materia prima.
  • Scarsa biodisponibilità di molecole o complessi di origine vegetale in vivo.
  • Interazioni farmacologiche non ponderabili.

 

Esaminiamo ora singolarmente questi aspetti per capire se realmente que­ste obiezioni costituiscono un limite alla fitoterapia.

   

 

  1. 1 PRINCIPALI OBIEZIONI RIVOLTE AI FITOESTRATTI

1.1.1 Dubbia efficacia

L’efficacia è sicuramente la prima cosa che viene contestata ai prodotti di origine vegetale, purtroppo in alcuni casi anche a ragione, in quanto negli anni numerosi prodotti sono stati immessi sul mercato con risultati piuttosto deludenti. Ma andiamo per gradi.

Affermare per partito preso che gli estratti di origine naturale siano in sé inefficaci è un grossolano errore, dal momento che numerosi farmaci di comune utilizzo sono ancora oggi ottenuti per estrazione o per lavorazione di un estratto. Basti pensare alla Morfina (antidolorifico), alla Codeina (an­titussivo), alla Teofillina (broncodilatatore), alla Silimarina (epatoprotettore) e al Taxolo (chemioterapico-antitumorale): sicuramente nessuno che abbia una minima cognizione di farmacologia si sentirebbe di affermare che questi prodotti non sono efficaci. Allora dove nasce il problema? Perché negli anni sono stati proposti prodotti dagli effetti deludenti? Le ragioni sono moltepli­ci, ma hanno un’origine comune: la mancanza di conoscenza approfondita sulle molecole in questione e il loro metabolismo, dall’assorbimento all’escre­zione.

Questa carenza culturale comporta un notevole problema: molti degli studi che dimostrano l’efficacia o meno di una molecola sono compiuti su modelli animali (in vivo) o addirittura su campioni di tessuti o singole cellu­le (in vitro); ovviamente quello che accade in simili modelli è molto diverso da quello che avviene nell’essere umano, vuoi per notevoli differenze meta­boliche (studi in vivo), vuoi per l’assenza di numerosi passaggi che contrad­distinguono il metabolismo di una molecola (studi in vitro), perciò formula­re un prodotto senza considerare questi aspetti spesso e volentieri porta alla realizzazione di complessi scarsamente biodisponibili oppure rapidamente escreti dall’organismo e quindi inefficaci.

Un altro problema che compromette l’efficacia è l’assenza di titolazione e standardizzazione, cosa che verrà discussa nel prossimo paragrafo.

1.1.2 Assenza di titolazione e standardizzazione

La titolazione e la standardizzazione sono due processi fondamentali affinché sia possibile avere ripetibilità nella produzione di un formulato e quindi prevedere gli effetti causati dalla sua assunzione. Per illustrare corret­tamente il concetto è più corretto parlare di standardizzazione e titolazione, in quanto all’atto pratico da una buona standardizzazione deriva la possibi­lità di avere un prodotto titolabile con relativa facilità. In che cosa consiste la standardizzazione? Innanzitutto è necessario distinguere tra standardizza­zione di lavorazione e standardizzazione chimica:

  • La standardizzazione chimica è un’operazione volta a qualificare, in questo caso, un estratto, definito appunto standard, che verrà utilizzato come riferimento per le produzioni future.
  • La standardizzazione di lavorazione è un insieme di processi mediante i quali la materia prima vegetale viene lavorata per ottenere un estratto uniforme e paragonabile con gli estratti prodotti in precedenza; impli­ca procedimenti, tempistiche, modalità e condizioni di lavorazione che devono essere appunto mantenuti costanti ogni qual volta si voglia pro­durre l’estratto.

In che cosa consiste invece la titolazione? Quando si stabilisce il titolo di una sostanza in pratica se ne misura la concentrazione. Partendo dal pre­supposto che in un estratto di origine vegetale sono generalmente presenti centinaia se non migliaia di diverse sostanze, di solito con la titolazione si stabilisce la concentrazione di quella o di quelle di interesse. In molti casi ven­gono titolate le sostanze responsabili dell’effetto farmacologico, o comunque benefico, mentre quando questo non è realizzabile la titolazione viene fatta per sostanze che permettono di caratterizzare con relativa facilità l’estratto.

Perché è fondamentale che un buon estratto sia titolato e standardizzato? Fondamentalmente perché si ricava da una pianta che è un essere vivente, e come tutti gli esseri viventi ha cicli metabolici propri, è soggetta a stress, può essere nutrita in maniera adeguata o meno e così via, quindi non esiste nes­suna garanzia che un estratto preso così come viene sia paragonabile a quello di riferimento (dall’efficacia dimostrata).

Mediante la standardizzazione e la titolazione è invece possibile verificare se l’estratto è conforme alle aspetta­tive, se è possibile intervenire sulla concentrazione per correggerlo oppure se è completamente da scartare. Conoscendo questi aspetti, risulta evidente come un estratto che non sia titolato e standardizzato possa essere una mina vagante: non è assolutamente possibile prevederne gli effetti e quindi valu­tarne l’efficacia. Molto probabilmente buona parte dei prodotti che hanno contribuito a creare la nomea di “inefficaci” degli estratti di origine vegetale non erano né titolati né tantomeno standardizzati.

1.1.3 Assenza di studi clinici che dimostrino la reale efficacia

Questa è senza dubbio un’affermazione facilmente contestabile, basta in­fatti una rapida consultazione di siti internet quali Pubmed (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed), Journal of nutrition (http://jn.nutrition.org), Journal of the American college of nutrition (http://www.jacn.org) e tantissimi altri per verificare quanti studi esistono in merito all’effetto terapeutico/be­nefico di molecole di derivazione vegetale. Dove nasce allora il problema? Dal fatto che anche questi studi, come accennato precedentemente, sono ef­fettuati spesso su modelli e non sull’uomo.

Inoltre, spesso riguardano una sola molecola e non un complesso di molecole come un estratto, non è quindi matematico che gli stessi effetti osservati in via sperimentale si verifichino con l’utilizzo di un determinato prodotto. Anche se il prodotto è stato for­mulato tenendo conto dell’intero metabolismo della sostanza e utilizzando estratti titolati e standardizzati, rimane da testare la reale efficacia, in pratica rimane da realizzare un vero e proprio studio clinico.

I prodotti da ritenere affidabili perciò sono quelli che hanno alle spalle degli studi clinici di effica­cia e molto probabilmente chi sostiene che dietro formulati di origine vege­tale non ci sono studi clinici si riferisce proprio a questo tipo di problema. È bene comunque ricordare che esistono produttori che testano clinicamente ogni formulato messo in commercio e che quindi, scegliendo con attenzione, è possibile utilizzare prodotti di origine vegetale che vengono studiati e rea­lizzati con la stessa serietà e le stesse garanzie del mondo del farmaco.

1.1.4 Assenza di studi di tossicità

Semplificando enormemente l’argomento “studi di tossicità” (che di per sé meriterebbe un volume a parte) possiamo affermare che in linea di mas­sima per un utilizzo che rientri entro certi margini di sicurezza è necessario studiare la tossicità di un prodotto in acuto (cioè da singola somministrazio­ne) e in cronico (ovvero ottenuta nel tempo con somministrazioni multiple). Contestualmente a questi studi è necessario valutare anche la possibilità che le sostanze studiate abbiano effetti teratogeni (capacità di provocare malforma­zioni in feto), mutagenici (capacità di indurre mutazioni), carcinogenici (capa­cità di indurre la trasformazione di cellule sane in cellule cancerose) e infine sensibilizzanti (capacità di provocare effetti allergogeni). Anche per questo aspetto vale quello che abbiamo detto in precedenza per la titolazione e la standardizzazione: molti studi esistono ma spesso e volentieri riguardano la formulazione o la singola molecola utilizzata in via sperimentale (in vivo o in vitro) e non una diversa formulazione commerciale che potrebbe presentare notevoli differenze per la presenza di altre molecole o altri eccipienti. Quindi anche in questo caso, la scelta di un produttore che esegua i test di tossicità direttamente sui propri formulati e che non si avvalga quindi di dati teorici costituisce una scelta vincente. Ovviamente ogni estratto o ogni prodotto che non sia titolato e standardizzato non può essere seriamente studiato per quan­to riguarda la tossicità.

1.1.5 Contaminazioni della materia prima

La questione della contaminazione rappresenta ancora oggi un aspetto piuttosto sensibile, in quanto annualmente vengono riportati numerosi casi di intossicazioni dagli esiti più o meno gravi che in alcuni casi hanno con­dotto addirittura al decesso. Dato che i prodotti in questione sono estratti di piante, cioè esseri viventi che nascono in un determinato terreno, crescono e si nutrono e possono essere contaminati da una grande varietà di sostanze, per rendere più semplice la trattazione effettueremo solo una breve panora­mica sulle principali possibilità di contaminazione.

Un prodotto di origine vegetale può essere contaminato da:

Presenza di specie estranee. Questo problema si verifica quando con la specie di interesse vengono raccolte, per errore o per negligenza, piante estranee alla coltura (selvatiche, infestanti, ecc). Questa eventualità può rive­larsi particolarmente pericolosa in quanto non conoscendo (nella stragrande maggioranza dei casi) con esattezza la natura delle piante estranee non è possibile prevedere quali effetti possano verificarsi. È bene ricordare che tra le piante infestanti esistono numerose specie non edibili e dagli effetti marca­tamente tossici. Questo problema può essere evitato solamente servendosi di colture controllate o quando questo non è possibile utilizzando manodopera altamente qualificata.

Contaminazione da metalli pesanti. Questo tipo di contaminazione si verifica quando i terreni di coltura o le acque di irrigazione sono contamina­te. Le diverse specie di piante possono accumulare in maniera più o meno importante queste sostanze che, come ben noto, possono avere effetti no­tevolmente tossici sull’organismo umano. Anche in questo caso il rigoroso controllo delle colture e delle acque di irrigazione consente di evitare questa problematica.

Contaminazione dovuta a conservazione impropria. Una conservazione non corretta della materia prima o degli estratti o una lavorazione impropria possono dare luogo a contaminazioni batteriche, da specie fungine, da insetti e da roditori. Questi organismi utilizzano le piante come sorgenti alimentari e le contaminano a loro volta con i propri escreti. Inoltre, alcuni microrgani­smi e alcuni funghi possono favorire la degradazione della materia prima con formazione di intermedi metabolici dagli effetti tossici sull’organismo umano. Queste problematiche possono essere evitate grazie a una rigorosa gestione della qualità che preveda una filiera di raccolta-lavorazione-stoc­caggio in grado di garantire una conservazione ottimale.

Anche nei succitati casi la titolazione e la standardizzazione degli estratti sono una garanzia, in quanto permettono di individuare eventuali contami­nazioni così da impedire la messa in commercio di estratti potenzialmente nocivi.

 

1.1.6 Scarsa biodisponibilità di molecole o complessi di origine vegetale in vivo

 

Uno dei principali fattori che limitano in vivo l’efficacia di numerosi fito­estratti è dovuto alla biodisponibilità. Per comprendere questo aspetto dob­biamo prima capire come diverse molecole possiedano una natura chimica che non sempre ne consente un ottimale assorbimento, come ad esempio molecole altamente idrosolubili. Bisogna inoltre considerare come ai fini della sopravvivenza l’organismo ha imparato negli anni a “difendersi” da determinate tipologie di sostanze mediante meccanismi come la glicopro­teina-P, capace di ri-estrudere nel lume enterico molecole “indesiderate”, e il sistema dei citocromi, mediante il quale avvengono alcune fasi legate ai meccanismi di detossificazione dell’organismo che spesso coinvolgono al­cune di queste molecole. Come è possibile quindi rendere maggiormente biodisponibili gli estratti che rientrano nelle precedenti categorie? Facciamo alcuni esempi.

 

È noto che estratti di Vitis vinifera, Ginko biloba, Camelia sinensis (The verde), Curcuma longa, Silybum marianum (Cardo mariano) ecc. hanno una ridottissima biodisponibilità se assunti oralmente. Per ovvia­re allo scarso assorbimento dovuto alla natura idrosolubile di tali molecole è possibile intervenire legando alla molecola di interesse un fosfolipide, che per sua natura è particolarmente assorbibile dall’organismo umano e quindi in grado di migliorare l’assorbimento della molecola di interesse farmaceu­tico, divenendo un vero e proprio “vettore”. Che dire invece delle moleco­le ri-estruse dalla glicoproteina-P? L’esempio più significativo è dato dalla Berberina, che difficilmente viene assorbita se assunta così com’è, sommini­strandola invece insieme a una molecola in grado di “impegnare” il sistema della glicoproteina-P, come per esempio la Silimarina, è possibile ridurne la ri-estrusione e quindi ottenere un effetto benefico-terapeutico con dosaggi nettamente inferiori. Una cosa simile può dirsi del sistema del Citocromo P450, che in condizioni normali provvede a una rapida eliminazione di mo­lecole come ad esempio la Curcumina; in questo caso utilizzando la Piperina (molecola estratta dal Piper Nigrum, o Pepe nero) è possibile impegnare il sistema allungando l’emivita e quindi l’efficacia della Curcumina.

 

Dai pochi esempi accennati è possibile comprendere come è vero che mol­ti estratti di per sé presentino una scarsissima biodisponibilità in vivo, ma anche come questo limite nella maggior parte dei casi possa essere superato grazie alle tecniche precedentemente descritte; è quindi possibile trovare de­gli estratti dalla reale efficacia a patto che si selezionino dei prodotti formu­lati secondo un razionale ben preciso. È bene ricordare che in questo contesto il razionale rappresenta la logica di funzionamento su cui si basa lo sviluppo di un formulato; tale logica deve essere frutto di un processo di sequenze che non porta a imprevisti ma a un risultato ovvio e univoco. Sulla base di quanto è stato appena esposto dovrebbe risultare chiaro come non sempre prendere l’estratto così com’è è garanzia di efficacia e sicurezza.

 

Se volete continuare ad approfondire questo argomento, consultate Integrazione naturale e fitoterapia.

Integrazione naturale e fitoterapia