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METODOLOGIA DELLA PREPARAZIONE FISICA

METODOLOGIA DELLA PREPARAZIONE FISICA

Il manuale Metodologia della preparazione fisica di Massimiliano Gollin si addentra nei dettagli più specifici dell’allenamento, approfondiamo insieme l’argomento.

Lo scopo della metodologia dell’allenamento sportivo è ricercare i principi che consentono all’allenatore di accrescere e sistematizzare le proprie conoscenze per potere operare nel modo più pertinente possibile. Si avvale di metodi di lavoro che hanno l’obiettivo di modificare le capacità organico-muscolari necessarie all’incremento dell’efficienza fisica: ad esempio l’allenamento della forza, della flessibilità e della resistenza.

 

I metodi comprendono differenti tecniche operative che identificano in modo specifico i criteri secondo cui si effettua l’esercizio. Esse possono avvalersi di un “mezzo”, come il veicolo di trasporto per l’effettuazione della performance (ad esempio la bici, nel caso del ciclismo), di attrezzi, di superfici naturali (quali una salita, la sabbia, una strada di campagna) o artificiali (ad esempio le tavolette propriocettive) utili alla esecuzione di determinati esercizi. Grazie alla capacità dell’allenatore di realizzare una continua opera di connessione e interscambio tra questi fattori, è possibile ottenere risultati non solo positivi, ma anche duraturi, sia a livello amatoriale che agonistico e nel mondo della disabilità. L’allenamento, oltre a essere il mezzo attraverso cui ritardare l’invecchiamento della macchina biologica o potenziarne alcuni aspetti, deve essere anche un processo educativo e formativo che contribuisce a rendere gli individui strutturalmente sani ed emotivamente equilibrati.

 

DEFINIZIONE DI ALLENAMENTO

 

L’allenamento è un processo di interazione tra la sfera psicologica e la sfera biologica. La  prima è determinata dall’azione educativa somministrata quasi giornalmente dalla comunicazione atleta-allenatore attraverso l’insegnamento del rispetto delle regole di gara, dei compagni di squadra, degli sfidanti e della società. La seconda è rappresentata dal cambio dell’omeostasi biologica dell’individuo attuato tramite la somministrazione di un carico fisico esterno modulato e ripetuto in modo ciclico e continuo, in una programmazione temporale che prevede uno stato iniziale “A” di progetto, uno stato intermedio “B” di esecuzione e uno stato finale “C” di verifica.

 

PRINCIPI DELL’ALLENAMENTO

 

Ogni scienza applicata ha tra i suoi scopi fondamentali quello di fornire degli orientamenti per l’azione pratica sul campo. Nell’allenamento sportivo ritroviamo due macro-famiglie che offrono linee guida all’agire dell’allenatore: la prima riguarda i principi pedagogico-educativi legati all’azione educativa, la seconda mette in evidenza le regole generali per la somministrazione delle esercitazioni utilizzando un carico fisico esterno atto a migliorare le performance dei soggetti allenati.

 

I principi pedagogico-educativi dell’allenamento sportivo

 

Molte volte la vita sociale con i suoi ritmi affannosi provoca problematiche

tali da deconcentrare l’atleta (agonista o amatore) e limitarne la performance

sportiva, e può persino portare a una sorta di ossessione per il

conseguimento del risultato ottimale. Si propone di seguito una serie di spunti di riflessione, sotto forma di principi, che ogni allenatore può ampliare in accordo con i casi esaminati nella pratica quotidiana. L’elenco non ha la pretesa di essere una “ricetta pronta all’uso”, ma una semplice proposta di discussione con tutti gli allenatori che con  grande passione si dedicano all’attività sportiva come progetto educativo e formativo.

 

Principio della consapevolezza e conoscenza dell’attività fisico-

sportiva praticata

 

L’allenatore deve rendere partecipe e cosciente l’atleta delle decisioni riguardanti il suo allenamento e delle mete a breve e lungo termine che si cercherà di raggiungere. Questo può essere realizzato semplicemente tramite brevi spiegazioni teoriche o esempi riassuntivi, seguiti dall’applicazione pratica sul campo delle esercitazioni teorizzate. In questo modo l’atleta diventa partecipe e non si sente escluso dalla strategia allenante scelta per lui, ma la vive in prima persona accompagnato saldamente dalla figura dell’allenatore.

 

L’uniformità di linguaggio tra atleta e allenatore è un veicolo fondamentale per l’incremento della loro complicità. Solo l’integrazione e il rispetto reciproco tra le due figure può creare un buon lavoro di raccolta dati sulle sensazioni che l’atleta ha durante l’allenamento, sulle sue capacità di recupero ecc. A tale scopo possono essere utili spiegazioni sulle modalità di utilizzo delle fonti energetiche per la realizzazione dell’esercizio, sulla localizzazione e la funzione dei muscoli che entreranno in azione e sulla macrostrategia di programmazione che si dovrà affrontare per raggiungere l’obiettivo mirato, indicando in modo semplice, corretto e riconoscibile le metodiche di allenamento utilizzate. Un atleta consapevole del percorso che si sta attivando per il suo miglioramento riesce a realizzare meglio gli allenamenti proposti, comprendendone il senso e la giusta applicazione nel rispetto di quanto richiesto dall’allenatore.

 

Principio della chiarezza nel rapporto atleta-allenatore

 

Fin dall’inizio del training, l’allenatore deve spiegare in modo chiaro e inequivocabile il suo ruolo come guida del processo di allenamento e le regole disciplinari più importanti, vale a dire:

 

  • Il rispetto degli orari di allenamento.
  • Lo svolgimento delle fasi di preparazione all’allenamento.
  • Il comportamento da tenere durante l’allenamento.

 

L’allenatore deve conquistare la fiducia dell’atleta rispettandolo ed esigendo da lui lo stesso rispetto. Non ci dovranno essere comportamenti superficiali che lascino pensare  all’atleta di non essere seguito accurata mente e allo stesso modo l’atleta dovrà mostrare determinazione nel rispettare i programmi di allenamento e le procedure per l’esecuzione degli esercizi. Deve essere chiaro il ruolo di entrambi, al fine di evitare incongruenze didattiche nella gestione delle fasi dell’allenamento e situazioni in cui l’allenatore non riesce a operare in modo preciso, con la conseguenza di ottenere dati poco chiari sull’andamento dell’atleta che non potranno essere utilizzati come pietra di paragone per gli allenamenti futuri.

 

Principio dell’autonomia dell’atleta

 

L’allenatore deve operare in modo da garantire un allenamento preciso e programmato. Tuttavia, l’atleta deve essere responsabilizzato fin dall’inizio a mantenere la propria autonomia e indipendenza. Il rapporto allenatore- atleta deve garantire una determinazione crescente da parte di quest’ultimo, dove egli acquista maggiore sicurezza  nell’affrontare gli allenamenti e le gare e impara a discriminare i modelli falsi e irraggiungibili che possono compromettere in itinere la sua salute.

 

Principio della salvaguardia della salute

 

Le scelte metodologiche sulle varie forme di allenamento per il potenziamento della prestazione devono sempre avvenire nel massimo rispetto della salvaguardia della salute.

 

Il concetto abbraccia sia la sfera psicologica che quella biologica dell’atleta, dal momento che senza lo sviluppo armonico di entrambe sarebbe impossibile formare individui forti e consapevoli dei rischi che si corrono tenendo comportamenti superficiali nella realizzazione degli allenamenti. L’atleta lavora con il corpo e questo deve essere rispettato fin dall’inizio, ma sempre nell’integrazione con la mente, che deve affondare le proprie radici in una solida base di etica sportiva e di rispetto di se stessi e degli altri.

 

 

3.2.1.5 Principio dell’integrazione delle attività formative

 

Affinché il soggetto cresca equilibrato sia come uomo che come atleta, l’allenatore deve fornire nei suoi interventi formativi delle semplici ma importantissime regole disciplinari, mai sotto forma di imposizione, ma di consigli e suggerimenti, affinché l’individuo cresca in modo polivalente ed equilibrato.

 

Tra le variabili fondamentali da proporre all’atleta troviamo:

  • Fare attività sportiva, ma nel rispetto del recupero della fatica.
  • Non perdere di vista l’obiettivo della salute.
  • Non confrontarsi con le performance altrui, ma attenersi al proprio miglioramento

longitudinale.

  • Non esasperare il numero degli allenamenti con l’obiettivo di ottenere

più risultati: questo comportamento spesso porterà solo a uno stato di fatica cronica.

  • Non avere fretta di raggiungere i risultati prefissi (una cosa che si ottiene velocemente si perde altrettanto velocemente).
  • Attivare interessi multidisciplinari: lo sport non deve diventare una nevrosi; un atleta che ha come interesse monotematico la propria disciplina restringe il campo delle esperienze emotive e motorie, con danni sulla sfera psicologica, culturale e sociale.

 

L’allenatore dovrà educare l’atleta a costruire una mentalità vincente non solo nello sport, ma in generale, attraverso un progetto globale di vita quotidiana. Occorre proporre una molteplicità di interessi che facciano crescere in modo forte e positivo l’io dell’atleta, fortificandone gli obiettivi personali e rendendolo capace di individuare i modelli di vita sportiva falsi o irraggiungibili.

  • Ricordare all’atleta che lo sport lo accompagnerà per tutta la vita, ma

che non potrà vincere sempre.

 

Principio dell’umiltà

 

Un buon atleta è soprattutto umile. Anche se è consapevole di possedere una buona macchina biologica, sa ascoltare i consigli di persone preparate. Pazientare e imparare a utilizzare al meglio l’uso dei comandi di questa macchina favorisce una predisposizione positiva alla prestazione sportiva e alla crescita personale dell’atleta. Ogni buon allenatore deve insegnare che diventare campioni è prerogativa di pochi, ma che ognuno può migliorare al massimo la sua prestazione in funzione della predisposizione genetica che lo caratterizza e dell’impegno mostrato nell’attività.

 

L’atleta deve essere messo in guardia da progetti irraggiungibili con le normali forze biologiche.

 

Principio della mentalità vincente o della visione positiva della vita

 

L’atleta deve sempre approcciarsi a una gara o all’allenamento con una mentalità positiva e serena, dando il meglio di se stesso e senza mai dimenticare che ogni esperienza, anche se negativa, serve per costruire una mentalità vincente più aperta e forte. Bisogna affrontare la gara o la preparazione atletica con tappe intermedie, considerandole tutte ugualmente importanti, sia che si tratti di una gara regionale, sia che si tratti di una competizione internazionale. Costruire una mentalità vincente significa avere fiducia nei propri mezzi e nelle proprie scelte di vita, rimanendo aperti ed elastici di fronte alle novità. Non bisogna mai avere paura delle nuove mete, ma nemmeno erigersi a “super uomo”, peccando così di onnipotenza e creando una facciata esteriore che alla prima difficoltà si sgretolerebbe inesorabilmente. La vita a volte è dura, ma non bisogna mai ricorrere a compromessi e sotterfugi per risolvere i propri problemi.

 

L’allenatore e l’atleta devono trovare insieme la strada più intelligente e razionale per superare ogni ostacolo.

 

L’atleta deve essere vincente già nella vita privata e non imputare agli altri le proprie sconfitte. La fortuna e la sfortuna sono dentro ognuno di noi e con l’aiuto di persone qualificate si può imparare a riconoscerle. L’atleta deve assumersi sempre le proprie responsabilità godendo delle vittorie e riconoscendo le sconfitte.

 

Per essere vincenti occorre imparare a vedere le cose negative come un elemento della quotidianità, credere nelle proprie scelte e non mollare alle prime difficoltà. Soprattutto, non bisogna cercare di alterare le proprie prestazioni in modo artificiale. Non si risolvono i problemi creandosene degli altri. La mentalità vincente richiede di essere pazienti e tenaci, consapevoli che l’obiettivo scelto vale la fatica fatta e quella ancora da fare. I campioni non vivono né ripiegati sugli allori del passato né proiettati verso le promesse del futuro, ma sono immersi nel presente, concentrati con tutto il cuore sul proprio progetto di vita, senza mai perseverare sugli errori commessi ma erigendoli  fondamenta di nuove e più importanti mete. Coloro che lavorano per essere vincenti possono anche cadere, ma non restano mai a terra: si rialzano e continuano la salita vedendo nella caduta un punto di forza della propria esistenza. La sfida deve sempre essere prima con se stessi e poi con gli altri.

 

 

Principio della specificità del carico

 

L’adattamento che consegue a un carico esterno è specifico e si evidenzia negli apparati muscolari e negli organi interessati dall’allenamento in modo esclusivo. Nei giovani e nei principianti il carico, pur essendo specifico, dà origine a una polivalenza di stimoli e serve dal punto di vista organico-muscolare e coordinativo alla preparazione di base del soggetto. Negli atleti evoluti, invece, il carico esterno dà origine in modo prioritario a stimoli specifici: è il come ci si allena, con cosa, dove, quanto e quando che diventano decisivi per l’evolversi della prestazione.

 

 

Principio della frequenza del carico

 

È necessario sollecitare l’atleta tramite carichi esterni specifici ripetuti nel tempo e con una determinata frequenza. Lo scopo è potenziare la funzione dei muscoli e degli apparati coinvolti nello sport praticato al fine di ottenere una somma di effetti allenanti, creando adattamenti stabili e un conseguente incremento di prestazione. È necessario, tuttavia, inserire momenti di pausa per compensare gli stimoli allenanti. L’intervallo di

recupero va impostato in relazione al tipo di sport, al livello dell’atleta e ai carichi proposti.

 

 

 

Principio della progressività del carico

 

Per aumentare a lungo termine la capacità della prestazione sportiva è necessario conseguire nuovi adattamenti, ottenibili solo con un sistematico e ininterrotto aumento dei carichi di lavoro, oltre naturalmente al necessario recupero. L’aumento non è solo quantitativo, ma riguarda anche altri importanti parametri, tra i quali ricordiamo: durata degli allenamenti; tempo di recupero tra le serie di esercizi; numero di sedute settimanali; tipo di contrazione muscolare; tipo di attrezzo usato; metodiche impiegate; numero di serie e di ripetizioni per esercizio. Per stimolare la muscolatura a una reazione di compenso, il carico di lavoro deve essere sufficientemente elevato e oltrepassare una soglia minima, che non potrà che essere in relazione con il soggetto preso in esame e la sua capacità massimale di estrinsecare la forza muscolare. L’intensità dell’allenamento è dunque determinata da una percentuale del rendimento massimo dell’atleta.

 

 

Principio della continuità del carico

 

Per garantirsi una costruzione stabile ed efficace della capacità di prestazione sportiva è necessario non interrompere il processo di allenamento. Solo la continuità nella somministrazione del carico e il passaggio da una forma di allenamento a un’altra possono ottimizzare le qualità fisiche ed elevarle a un livello superiore. Il principio è da ricondursi alla relazione stimolo-adattamento, prevedendo che se i carichi saranno ridotti e non progressivamente crescenti, ma addirittura discontinui, si avrà un carico interno inefficace, con un decadimento degli adattamenti acquisiti precedentemente, la perdita degli effetti allenanti e una conseguente diminuzione di prestazione.

 

 

Principio della multilateralità del carico

 

Le stesse esercitazioni protratte nel tempo inizialmente stabilizzano i risultati, ma poi si verifica una progressiva diminuzione della performance. Per ottenere un continuo miglioramento della prestazione è importante invece non solo variare il carico in quantità e intensità, ma anche agire su altri fondamentali parametri, tra cui: variazione dell’attrezzatura; alternanza di esercitazioni al chiuso e all’aperto; utilizzo di pesi liberi e macchine guidate; variazione della tipologia delle contrazioni muscolari; modifica della velocità di esecuzione degli esercizi; alternanza tra esercizi a carattere globale ed esercizi a carattere specifico.

 

 

Principio dell’individualizzazione del carico

 

Ogni atleta è un individuo unico e irripetibile che risponde al carico di lavoro in modo personale e specifico, pur seguendo la logica dello stimolo e del conseguente adattamento.

 

I carichi di lavoro vanno concepiti e predisposti in maniera tale da assicurare il più efficace ritorno, in termini di adattamento, per ogni soggetto allenato. Non esiste un programma di allenamento adatto a tutti, ma solo delle linee guida che vanno personalizzate a seconda del caso, in base al livello di qualificazione dell’atleta, della sua evoluzione biologica, delle sue caratteristiche antropometriche e della condizione emotiva in cui si trova. Tra le variabili più studiate evidenziamo l’età, il peso, l’altezza e il sesso, la morfologia corporea, la flessibilità, l’equilibrio, il massimo consumo di ossigeno, la forza e la potenza muscolare, la percentuale di grasso corporeo.

 

Se volete approfondire ancora sul carico e su altre metodologie di allenamento, consultate Metodologia della preparazione fisica.

Metodologia della preparazione fisica