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STORIA E ORIGINI DELLO YOGA

STORIA E ORIGINI DELLO YOGA

L’Hatha yoga che pratichiamo oggi si sviluppò in seno alla civiltà tantrica che visse in India più di 10.000 anni fa. Circa 2.000 anni fa, la pratica delle asana consisteva in poche posizioni sedute, come il Loto, Padmasana e Siddhasana. Il termine asana, che significa “posizione seduta”, deriva proprio da queste posture. Nel tempo, le posizioni si sono evolute e arricchite e oggi ne abbiamo a disposizione moltissime, che attraverso allungamenti, flessioni, torsioni e inversioni rafforzano il corpo e ne aumentano la flessibilità, conducendoci in un viaggio che dal regno fisico porta a quello più sottile del nostro essere.

 

Periodo vedico o pre classico

La prima testimonianza scritta della pratica yogica si trova in un’epoca conosciuta come periodo vedico (4.500-2.500 a.C.). Le prime testimonianze archeologiche, invece, risalgono a circa 4.500 anni fa e sono state rinvenute in due siti della valle dell’Indo.

La scultura più significativa tra quelle ritrovate durante gli scavi archeologici condotti nel 1921 nei due siti della valle dell’Indo Harappa e Mohenjo-daro (entrambi nell’attuale Pakistan) rappresenta due figure cornute sedute a gambe incrociate nella Posizione del loto e circondate da animali selvaggi.

Questa statua, che divenne poi nota come Sigillo di Pashupati, è considerata il prototipo di Shiva, il Signore delle Bestie.

La civiltà di Harappa visse in quello che viene definito periodo pre vedico (6.500-4.500 a.C.), prima che gli Arii penetrassero nel subcontinente indiano. Dato che questa civiltà si estinse, e con essa la lingua parlata dal suo popolo, possiamo solo ipotizzare che la statua raffiguri effettivamente una posizione yoga e non una semplice postura seduta assunta abitualmente dalle persone dell’epoca.

 

Periodo vedico

Il periodo vedico, o pre classico, è l’epoca in cui fanno la loro comparsa i Veda, i più antichi testi della cultura indiana, che riportano i primi riferimenti scritti allo yoga e in cui cominciano a svilupparsi le successive espressioni religiose e spirituali. I Veda, considerati i più sacri fra gli scritti induisti, sono descritti come sruti, che significa che la loro saggezza era trasmessa solo oralmente; dal momento che risalgono all’epoca antecedente il ritrovamento delle prime testimonianze scritte, sono difficili da datare. Tuttavia, molti studiosi concordano sul fatto che risalgano almeno al periodo compreso tra il 1.500 e il 1.200 a.C. Veda significa “conoscenza” e i Veda sono tra le prime opere a ipotizzare un’interconnessione tra tutte le componenti dell’universo conosciuto e non conosciuto. Si pensa che siano stati rivelati da Dio a un anziano maestro dello yoga vedico, chiamato rishis, “il veggente”.

La principale religione dell’epoca era il brahmanesimo, che prevedeva le offerte agli dei come mezzo di congiunzione tra il mondo materiale e quello spirituale. Chi eseguiva il rito doveva essere in grado di concentrarsi a lungo: questa concentrazione interiore, volta a trascendere i limiti della mente ordinaria, rappresenta il cuore dello yoga.

 

Yoga classico e lo Yoga Sutra di Patanjali

 

Per capire l’evoluzione dello yoga è bene avere alcune nozioni sulle sei principali scuole di filosofia indiana che nacquero nel periodo delle Upanishad. Sebbene i punti di vista delle sei scuole differissero su alcune questioni, tutte credevano nell’esistenza di una legge universale che investe il piano religioso e quello metafisico.

 

Mimamsa

Il sistema della Mimamsa è probabilmente la prima delle sei scuole, fondata da Jaimini intorno al IV secolo a.C. Parte fondamentale del successivo Vedanta, ha una profonda influenza sullo sviluppo dell’induismo, stabilendo le regole per l’interpretazione dei Veda e fornendo una giustificazione filosofica all’osservanza dei riti vedici. La Mimamsa sostiene, inoltre, l’idea della sopravvivenza dell’anima dopo la morte.

 

Vaisheshika

Fondata intorno al II-III secolo d.C. da Kanada Kashyapa, si basa su un realismo pluralistico che illustra la natura del mondo attraverso sette categorie: sostanza, qualità, azione, universalità, particolarità, inerenza e non esistenza. Secondo questa scuola, la volontà di Dio è la causa della creazione. Nell’XI secolo la scuola Vaisheshika si fonde con quella Nyaya e a partire da quel momento assume il nome Nyaya-Vaisheshika.

 

Nyaya

Viene fondata da Akshapa Gautama circa nello stesso periodo della scuola Vaisheshika. Il testo fondamentale su cui si basa è il Nyaya Sutra, che racchiude essenzialmente una teoria sulla logica e l’argomentazione. Il contributo più rilevante apportato dalla scuola Nyaya consiste nell’avere creato un metodo di ragionamento deduttivo e i mezzi per ottenere la giusta conoscenza.

 

Yoga

Nell’ambito delle sei scuole di filosofia induista, lo yoga finisce per essere identificato con quella di Patanjali, il filosofo che scrisse Yoga Sutra.

Generalmente è considerata la scuola dello yoga classico ed è strettamente correlata a quella di Samkhya, dal momento che condivide le stesse teorie metafisiche.

Entrambe sono filosofie fondate sul dualismo e sostengono che l’io trascendentale, purusha, sia separato da tutto ciò che si manifesta, prakriti, e che, mentre purusha è eternamente immutabile, prakriti è in costante mutamento e conduce alla sofferenza.

 

Vedanta o Uttara Mimamsa

Il fondatore di questa scuola è considerato Shankara (VIIIIX secolo d.C). Vedanta significa conclusione (anta) dei Veda e il nome viene applicato alle Upanishad e alla scuola

che sorge dal loro studio. I suoi testi fondamentali sono tre: le Upanishad, il Brahma-sutra (anche chiamato Vedanta Sutra) e la Bhagavad Gita.

 

Samkhya

Si ritiene che debba la sua esistenza al saggio Kapila. Intorno alla metà del periodo pre classico, in cui fanno la loro comparsa le Upanishad, si sviluppa questa scuola filosofica più radicale di stampo metafisico, che si occupa di enumerazione e ontologia, ovvero la natura dell’essere. Seppure molto vicina alla filosofia dello yoga, Samkhya non è strettamente di pensiero yogico: mentre la tradizione yogica si fonda sulla convinzione che la liberazione avvenga attraverso la meditazione e la rinuncia, Samkhya applica le pratiche dello Jnana yoga, utilizzando il discernimento e il ragionamento per comprendere la natura della realtà e usando la rinuncia come mezzo per raggiungere la liberazione. Questo concetto non è totalmente nuovo, in quanto la pratica della rinuncia, o sannyasa, compare già nelle prime Upanishad. Quando la filosofia Samkhya comincia ad affermarsi, la tradizione yogica più diffusa dell’epoca ha già incorporato il Karma yoga e lo Jnana yoga, spinta dalla convinzione che la rinuncia, da sola, non sia sufficiente per ottenere la vera liberazione. La scuola Samkhya conquista però la notorietà quando sposa la nozione dualistica che si basa sulla divisione della realtà o dell’esistenza in due forme separate: purusha, la pura coscienza, e prakriti, il mondo della materia, al cui interno si trova purusha.

 

Secondo la dottrina Samkhya, la sofferenza deriva da uno smodato attaccamento al corpo, alla mente e ad altri aspetti del mondo esteriore, prakriti, anziché alla loro essenza intrinseca, la pura coscienza, purusha.

 

I tre Guna

Il concetto di dualismo della scuola Samkhya è rifiutato dai successivi sistemi di yoga, anche se ne riconoscono il fondamento, che spiega la differenza tra colui che vede, purusha, e ciò che viene visto, prakriti. Purusha, il vero io, va oltre il nome, la forma e il tempo ed esiste come pura coscienza.

In quanto veicolo di purusha, prakriti costituisce la base di tutte le attività attraverso cui il mondo esterno esiste e funziona. E, mentre tutti i fenomeni del cosmo sono generati da prakriti, è l’interazione tra le forze primarie sattva (purificazione), rajas (azione) e tamas (inerzia) a formare il principio operante che governa prakriti. Queste tre forze, note anche come guna o “ciò che lega”, esistono simultaneamente e sono interdipendenti, ma il loro grado di predominanza nella nostra esistenza oscilla continuamente. A seconda della loro forza e concentrazione, determinano la natura di un individuo, le sue azioni, le attitudini e l’attaccamento al mondo in cui vive, oltre a essere responsabili delle illusioni e delle sofferenze terrene.

 

Lo scopo di descrivere le caratteristiche delle rispettive forze non è quello di incoraggiare a diventare sattvici o a eliminare le altre forze, perché la coltivazione di sattva non è fine a se stessa. Sattva è solo il mezzo per vincere rajas e tama e raggiungere la realizzazione del sé attraverso la purificazione della mente e del cuore. È necessario trascendere i guna per ottenere l’immortalità e liberarsi dal ciclo di nascita, morte, vecchiaia e dolore. Le caratteristiche dei tre guna sono le seguenti:

 

  • Sattva è per natura puro e illuminante. È considerato il guna della mente e dei sensi cognitivi, che ci connettono al mondo esterno attraverso gli organi sensoriali: gli occhi, le orecchie, il naso la lingua e la pelle.
  • Rajas è stimolante e mobile. Guna delle risposte motorie e delle esperienze fisiche, domina il senso del desiderio. Rajas rende possibile l’esperienza fisica e controlla le attività del corpo: la voce, le mani, i piedi, l’ano e i genitali.
  • Tamas, inerte e occultante, è il guna dell’oscurità e dell’ignoranza; è per sua natura una forza negativa. Attiva i cinque elementi sottili, o tanmatra: la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto e il tatto.

 

Questi erano alcuni accenni storici sullo yoga, se ne volete sapere di più, consultate Yoga Tutor di Kan Mark.

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