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TEORIA E METODLOGIA DELL’ALLENAMENTO
In Biomeccanica degli esercizi fisici di Alfredo Stecchi viene studiato come funziona un allenamento. Analizziamo l’argomento insieme.
La teoria dell’allenamento
La teoria e la metodologia dell’allenamento si occupa dello studio delle capacità motorie, condizionali e coordinative e di come applicare i vari stimoli per migliorare tali capacità; ricerca inoltre i sistemi affinché gli allenamenti possano essere organizzati, periodizzati e ciclicizzati nel modo più razionale e valuta tutti i mezzi possibili e tutte le esecuzioni più funzionali per il raggiungimento dei migliori risultati che prevedano il minor dispendio energetico.
L’allenamento
Nella letteratura sportiva esistono numerose definizioni di allenamento. Nel contesto etimologico del termine (acquisire lena, fiato, respiro) non si riesce ad avere un idea completa ed esauriente del suo significato.
La Cava (1960), ha descritto l’allenamento come “la ripetizione periodica di un determinato lavoro al fine di aumentarne l’entità, perfezionandone l’esecuzione ed evitando l’insorgere della fatica”. Un’altra definizione alla quale facciamo riferimento in tantissimi, è quella fornita dal Prof. Vittori (1997): “Per allenamento si deve intendere l’organizzazione dell’esercizio fisico, ripetuto in quantità e intensità tali da produrre sforzi progressivamente crescenti, che stimolino i processi fisiologici di adattamento e sovracompensazione dell’organismo, per favorire l’aumento delle capacità fisiche, tecnico-tattiche e psichiche dell’atleta, al fine di esaltarne e consolidarne il rendimento in gara”. Appare evidente che questa definizione, se pur chiara e ottimamente articolata, è da riferirsi espressamente a tutti coloro che per scelta propria hanno deciso di dedicarsi alla competizione.
L’allenamento però, per intenderci quello di tipo fisico che si desidera rappresentare in questo libro, coinvolge anche gli altri tipi di attività motoria e non fa riferimento a parametri tecnico tattici (quando si parla di tecnica si fa specificatamente riferimento al sistema di esecuzione di un particolare esercizio).
Riflettendo su questo maggior numero di scopi e sul genere di allenamento che ci interessa in questa sede viene quindi azzardata un altro tipo di definizione probabilmente meno specifica ma che può comunque rendere l’idea: “L’allenamento può essere considerato come la costante pratica dell’attività motoria sempre organizzata nelle sue singole sedute e pianificata nelle sue sequenze che mira al miglioramento delle capacità di carattere fisico e psichico, andando a stimolare i processi di adattamento dell’organismo per il raggiungimento degli obbiettivi prefissati”. Negli ultimi anni stiamo assistendo sempre più ad uno sforzo da parte della scienza dell’allenamento per rendere i training meno intensi con i migliori risultati possibili; da un punto di vista pratico, l’unità esercizio può avere sicuramente un ruolo estremamente importante. La tendenza è quella infatti di rendere le varie esecuzioni meno analitiche e più globali, badando soprattutto a mantenere in equilibrio le varie catene muscolari agoniste con quelle antagoniste e modulando l’azione dei muscoli sinergici che collaborano all’azione.
A questo punto l’allenamento della coordinazione intermuscolare assume un ruolo fondamentale.
Le capacità motorie
Attualmente il complesso delle capacità motorie viene suddiviso in tre gruppi fondamentali:
- le capacità coordinative;
- le capacità condizionali (forza, resistenza, rapidità, mobilità articolare);
- la mobilità articolare o flessibilità.
Le capacità coordinative
L’insieme delle capacità coordinative dipende dalla funzione dei processi che organizzano, controllano e regolano il movimento, si tratta cioè di un sistema intimamente correlato con le strutture neurologiche che dipendono dal funzionamento del sistema nervoso centrale.
La coordinazione, includendo in essa qualità come la destrezza e l’agilità, può essere definita come la capacità di eseguire senza difficoltà coordinazioni di azioni complesse, di apprendere con facilità nuovi movimenti e di adattare rapidamente tutte le esperienze motorie precedenti a nuove esigenze.
Secondo Manno (1984), sicuramente uno degli studiosi più rappresentativi della materia, “le capacità coordinative rappresentano la capacità di dosare gli impegni muscolari in dipendenza del compito da svolgere, attraverso un’opportuna distribuzione dell’impegno
sulla base delle capacità condizionali”.
Per Le Boulch (1975), “coordinare vuol dire regolare minuziosamente la cooperazione di più gruppi muscolari in modo da realizzare la perfezione di una attitudine o di un movimento”.
È sufficiente comprendere il significato di queste definizioni per intuire il livello di importanza “qualitativa” di questa sfera, in passato molto spesso sottovalutata rispetto al complesso di tipo “quantitativo” delle capacità condizionali.
Gli ulteriori passi in avanti della scienza dell’allenamento si verificheranno sicuramente di pari passo con l’approfondimento della conoscenza di questo sistema e specificatamente del sistema nervoso centrale.
Da un punto di vista psicomotorio infatti, il movimento coordinato è un fenomeno assai complesso: avete mai provato a soffermarvi, ad esempio, sulla semplice azione del mangiare della carne seduti a tavola.
Le mani, attraverso una specifica presa delle dita, afferrano le posate in modo tale che una mantenga ferma la carne con un determinato sforzo statico, l’altra la tagli con una misurata tensione dinamica; fatto questo, la mano che prima era ferma adesso porta il boccone alla bocca che viene prima masticato e poi deglutito.
Il polso, il gomito e la spalla si correlano tra loro in modo tale da stabilire le giuste distanze, le velocità e le opportune contrazioni muscolari.
In più, la posizione seduta deve prevedere un controllo della postura con un giusto equilibrio tra la parete addominale e gli estensori della schiena.
Proviamo adesso soltanto ad immaginare quanti particolari tra analisi ricettive, interrelazioni, controlli, elaborazioni, invii di messaggi ed esecuzioni possa rappresentare l’azione di un ginnasta che effettua un esercizio di volteggio al cavallo con maniglie o
l’azione concitata di un giocatore di hockey.
La coordinazione generale e quella speciale
L’età migliore per intervenire sui processi coordinativi è quella compresa tra i 6 e i 15 anni, ma contrariamente a quanto si pensava fino a poco tempo fa l’apprendimento della coordinazione motoria può verificarsi anche in età più avanzata; in ogni caso, ad un periodo generale di base seguirà uno speciale. La formazione iniziale della coordinazione generale si basa su tre tipi di processi:
- dell’apprendimento motorio;
- di direzione e controllo del movimento, che è la capacità di controllare il movimento in direzione di un obbiettivo prefissato;
- dell’adattamento motorio, cioè la capacità di adattare lo schema motorio, nel più breve tempo possibile, ad una nuova situazione differente da quella in cui si è appreso il movimento.
L’allenamento della coordinazione generale si deve basare su una metodologia d’allenamento multilaterale che utilizza più esercizi possibili per il raggiungimento di una sviluppo globale e completo della motricità.
Le capacità coordinative speciali
Questo genere di capacità si basa sull’utilizzo del sistema percettivo e sul miglioramento generale delle sue unità funzionali: gli analizzatori.
Il sistema percettivo è costituito infatti da queste importanti terminazioni nervose sensibili agli stimoli di vario tipo e la cui funzione va potenziata il più possibile se desideriamo che il gesto motorio sia preciso ed economico.
Risulta allora obbligatorio farne una sintetica classificazione:
- l’analizzatore ottico (visivo), che permette di analizzare i movimenti del nostro corpo e delle persone che si muovono attorno a noi ed è considerato il primo analizzatore ad istruire il processo di apprendimento;
- l’analizzatore acustico che permettere di distinguere suoni e rumori di vario genere combinandosi con l’analizzatore visivo, tattile e cinestetico;
- l’analizzatore tattile che invia informazioni sulle pressioni esercitate sul corpo dall’esterno. Esiste poi l’analizzatore propiocettivo, a sua volta composto
dalle seguenti unità funzionali:
- l’analizzatore cinestetico, che con grande velocità riesce ad inviare informazioni circa le sensazioni dei vari segmenti corporei in azione ed il suo funzionamento è importantissimo per l’edificazione delle tecniche di base;
- l’analizzatore vestibolare, l’organo dell’equilibrio, che informa sulle variazioni di accellerazione del corpo umano, in particolare del capo, e delle posizioni di esso rispetto allo spazio;
- l’analizzatore muscolo-tendineo, rappresentato dai fusi neuromuscolari e da gli organi tendinei del Golgi, che si occupano delle regolazioni riflesse per la postura e per l’esecuzione coordinata dei movimenti. L’attività di tutti gli analizzatori collaborano quindi allo sviluppo delle capacità coordinative speciali che possono essere così suddivise:
- capacità di accoppiamento e combinazione dei movimenti;
- capacità di differenziazione;
- capacità di equilibrio;
- capacità di orientamento spazio-temporale;
- capacità di reazione;
- capacità di ritmizzazione;
- capacità di adattamento e trasformazione.
Anche nel fitness assumono un ruolo da non sottovalutare soprattutto per il tipo di applicazione che si può trasportare a qualsiasi azione della vita quotidiana.
Nelle attività che mirano al miglioramento dell’aspetto estetico non vi è purtroppo grande applicazione in questa direzione. Infine nella ginnastica medica, dove soprattutto il recupero delle funzioni propiocettive ricoprono una grande importanza nell’ambito
generale della riabilitazione della soggetto infortunato.
Le capacità condizionali
Se come abbiamo visto le capacità coordinative fanno espressamente riferimento alle strutture neurologiche controllate dal sistema nervoso centrale assumendo quindi un ruolo “qualitativo”, le capacità condizionali indicano invece un sistema che si esplica attraverso fattori metabolici e plastici dipendendo dalla disponibilità energetica e rivestendo quindi un ruolo “quantitativo”. Ad onor del vero, si può affermare che la velocità mantiene profondi rapporti con il S.N.C. e che quindi non sarebbe del tutto
corretto classificarla in questo modo.
La forza
La fisica definisce la forza come il rapporto tra una determinata massa e l’accelerazione da essa acquisita per effetto della forza stessa. Da un punto di vista biologico invece la forza può essere definita come la capacità di superare una resistenza esterna per mezzo della contrazione muscolare.
Nella letteratura scientifico-sportiva esistono infiniti tipi di classificazioni della forza; a tal proposito, bisogna riconoscere a Bosco (1997) la capacità di aver dato finalmente alla forza un interpretazione prettamente di carattere biologico considerando sia gli aspetti neuromuscolari che ne regolano la tensione, sia i processi metabolici che pregiudicano la durata.
Il suo grande merito è consistito comunque nel riprendere in considerazione la famosa curva forza-velocità, la cui scoperta aveva fatto vincere un premio nobel ad Hill nel lontano 1938.
Con il diminuire del carico da sollevare, la forza che deve essere sviluppata diminuisce mentre la velocità aumenta.
La ragione di ciò, sempre secondo Bosco, sembra sia la perdita di tensione nel momento in cui si rompono i ponti di actomiosina, all’interno della componente contrattile e che poi si si formano in condizioni d’accorciamento.
Il secondo motivo, è costituito dalla viscosità presente sia nella componente contrattile, sia nel tessuto connettivo.
In ogni caso, soffermandosi sul secondo grafico, appare abbastanza chiaro che la forza massimale si realizza con velocità basse o nulle, mentre quella esplosiva (forza veloce) con velocità alte.
In contrasto, la resistenza alla forza veloce e la resistenza muscolare sono fortemente caratterizzate dai processi metabolici coinvolti e poco da quelli neuromuscolari. Di seguito, verranno adesso mostrate le varie condizioni necessarie al miglior incremento dei tipi di forza evidenziati da Bosco; forza massimale, forza esplosiva, e forza resistente.
Classificazione della forza
Nella classificazione della forza, così come per numerosi altri tipi di capacità e fenomeni, esistono in letteratura infiniti modi di classificazione: le terminologie se pur differenti e copiose devono però risultare chiare ed univoche nei contenuti.
Esistono tre tipi di forza muscolare:
- la forza massima;
- la forza veloce;
- la forza resistente (o resistenza alla forza veloce). Per la definizione di questi tipi di forza, per la chiarezza e la sinteticità, vengono riportate le spiegazioni di Manno (1989).
La forza massima è la più elevata che il sistema neuro-muscolare è in grado di esprimere attraverso una contrazione muscolare volontaria. La forza veloce, o rapida, è la capacità del sistema neuro-muscolare di superare resistenze con elevate rapidità di contrazione.
Infine la forza resistente che rappresenta la capacità dell’organismo di opporsi alla fatica durante prestazioni di forza e durata. I fattori che influenzano i vari tipi di forza sono numerosi: tra questi si ricordano il diametro della sezione trasversa delle fibre muscolari, la frequenza degli impulsi nervosi che dal cervello arrivano ai muscoli, il numero delle fibre muscolari a cui vengono inviati i messaggi, e l’attivazione (sincronizzazione) di più unità motrici nella stessa unità di tempo.
A questi fattori condizionanti va aggiunto quello relativo al tipo di composizione muscolare che ogni individuo presenta.
Come è già stato evidenziato nel capitolo riguardante la biomeccanica muscolare, in ogni individuo esistono infatti fibre veloci (fast twicth fibers, FT), che riescono a sviluppare altissime tensioni in breve tempo che dipendono dal metabolismo anaerobico e fibre lente (slow twicth fibers, ST) che producono una debole tensione per un periodo di tempo lungo e sono resistenti alla fatica (Edigtone Edgerton, 1976).
Vi sono poi le fibre intermedie (FTR), che posseggono appunto caratteristiche intermedie. La forza è una capacità motoria che viene espressa in modo diverso da un punto di vista qualitativo-quantitativo ma che è indispensabile nella stragrande maggioranza delle attività sportive. Anche nel fitness è necessario dedicare un sufficiente spazio allo stimolo della forza se si desidera praticare del movimento per raggiungere un discreto livello di benessere.
Nelle attività estetiche viene sempre dedicato un grande spazio all’allenamento della forza: i bodibuilders in particolare, sanno perfettamente che per stimolare i processi di sintesi proteica bisogna stimolare spesso la forza, variando i carichi tra il 70-90% e il 70-80% la potenza.
Per l’aumento dell’ipertrofia sarà quindi indispensabile allenarsi con un numero elevato di ripetizioni per favorire la produzione di acido lattico: in condizioni metaboliche acide infatti, saranno favoriti i processi ormonali e di conseguenza il turn-over proteico.
Per la ginnastica medica poi è già stato detto come il rinvigorimento muscolare rappresenti un sistema fondamentale per il recupero funzionale e per assicurare a tutti complessi articolari dei validi sistemi di difesa.
In letteratura esistono svariate metodologie per l’allenamento della forza: ad ognuno la possibilità di applicarle come meglio
crede.
Ipergravità
Preatletismo
Circuit training
Power lifting
Body Building
Piramidale
Pesistica
Isocinetico
Alternanza dei carichi
Regressivo
Ripetizioni forzate
Serie giganti
Eccentrico
Isometrico
Elettrostimolazioni
Pliometrico
Vibrazioni
Per altre nozioni teoriche, consultate Biomeccanica degli esercizi fisici.